Una società monzese “alla mercé” di un presunto “sodalizio criminale” specializzato in reati fallimentari, frodi fiscali e truffe con base operativa a Cinisello Balsamo in un capannone affittato a una azienda, appena costituita, “attiva nel settore della telefonia e intestata ad un prestanome” che avrebbe frodato lo Stato ottenendo dagli Istituti di credito finanziamenti garantiti dallo Stato attraverso il Fondo di garanzia gestito da Mediocredito Centrale S.p.A.. All’esito di una indagine denominata “Casa di carta” avviata nel 2023, alle prime luci dell’alba di martedì 5 novembre le Fiamme Gialle del Comando Provinciale di Como hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Tribunale di Monza su richiesta della Procura della Repubblica nei confronti di 19 persone di cui 7 in carcere, 7 ai domiciliari e 5 sottoposte all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
L’indagine “Casa di Carta” coordinata dalla Procura di Monza
Tutto ha preso avvio dall’approfondimento da parte della Procura monzese di alcune operazioni finanziarie ritenute sospette svolte dagli amministratori della società monzese, “già coinvolti in procedimenti penali per condotte fallimentari e truffaldine”. Sono state così individuate alcune società “in affari” con il gruppo su cui si sono concentrate le indagini dei finanzieri del Nucleo di polizia economico finanziaria di Como. Da analisi sui bilanci societari, sui conti correnti e attività di intercettazioni telefoniche e nei luoghi ove si svolgevano incontri “d’affari” del sodalizio è stato ricostruito il presunto “modus operandi” che sarebbe stato appunto ideato per ottenere dagli Istituti di credito finanziamenti garantiti dallo Stato attraverso il Fondo di garanzia gestito da Mediocredito Centrale S.p.A.
Dopo avere individuato società attraverso cui chiedere il finanziamento, società costituite da qualche anno e che non avessero subito dei controlli dal fisco, prevalentemente nei settori del commercio all’ingrosso di polimeri, carta, cartone e delle apparecchiature informatiche con sedi fittizie a Milano, Brescia, Bologna e Venezia il gruppo avrebbe proceduto all’acquisto delle quote attraverso prestanome di fiducia per averne il controllo. Successivamente, attraverso un professionista compiacente sarebbero stati falsificati i bilanci “facendo figurare una falsa ricapitalizzazione mediante aumenti del capitale sociale del tutto inventati” perché l’azienda “apparisse solida” e quindi in grado di restituire il finanziamento chiesto alle banche. A questo punto la società era pronta a presentare domanda di finanziamento garantito nella misura dell’80%, all’Istituto di Credito prescelto, con la complicità di un’agenzia finanziaria di Brescia che operava in regime monomandatario e che “si occupava di istruire la pratica in modo da agevolare la successiva istruttoria della Banca incassando, per questa intermediazione illecita, una percentuale sugli importi erogati”.
Monza: così le società fittizie si preparavano ai sopralluoghi degli ispettori delle Banche
La società fittizia che aveva richiesto il finanziamento si preparava anche a possibili sopralluoghi e ispezioni di funzionari ispettori dell’istituto di credito con “vere e proprie messe in scena” tinteggiando il cancello del capannone affittato per l’occasione, posizionando una targa con il nome della ditta, portando sul posto macchinari e persino falsi operai da presentare quali dipendenti dell’azienda. Il capo del sodalizio e il suo braccio destro avrebbero definito l’attività un “cinema”. All’esito dell’istruttoria la pratica di finanziamento veniva presentata dalla Banca a Mediocredito Centrale S.p.A. che deliberava l’ammissione alla garanzia pubblica, consentendo così all’Istituto di credito l’erogazione della somma richiesta, accreditandola sui conti correnti delle società in mano al sodalizio.
Monza, dove finiva il denaro ottenuto: in auto di lusso, camper e bonificati all’estero
Solo parte del denaro ottenuto sarebbe quindi stato usato per pagare i costi “fissi” come rate di precedenti finanziamenti erogati ad altre “società fantoccio” che bisognava onorare per non far saltare anzitempo le truffe in corso, sulla falsa riga dello schema Ponzi, mentre la maggior parte era spesa per acquistare autovetture di grossa cilindrata e camper o prelevato in contanti e movimentato a mezzo di “spalloni” oppure bonificato sui conti correnti intestati ai sodali o ai loro prestanomi, a società italiane (prevalentemente ditte cinesi ma con conti in Danimarca, Belgio e Germania riconducibili agli associati) ed estere (ubicate in Repubblica Ceca) a pagamento di operazioni commerciali simulate, coperte da false fatture.
Con i conti correnti sociali svuotati capitava che non ci fosse liquidità sufficiente per pagare alla Banca neppure le prime rate del prestito: per prendere tempo e ottenere una moratoria sui pagamenti, il capo del sodalizio avrebbe “istruito” i suoi prestanome in vista del colloquio con i funzionari bancari, simulando situazioni di difficoltà finanziaria.
I 19 soggetti colpiti dalle misure cautelari personali sono ritenuti responsabili, in concorso, di associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, riciclaggio e autoriciclaggio, con l’aggravante prevista per i reati transnazionali. E’ stato effettuato un sequestro preventivo diretto e per equivalente dei beni riconducibili agli indagati fino a concorrenza di 13,8 milioni di euro quale profitto dei reati contestati.
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